Negli ultimi anni il capitalismo ha contagiato praticamente ogni angolo del mondo e con il suo agire silenzioso e inesorabile ha intaccato in maniera profonda governi, menti, vite e luoghi.
È proprio a questi ultimi che vorremmo dedicare una riflessione. La vita di ognuno di noi è in qualche modo scandita dai ritmi che i luoghi ci impongono: luogo di lavoro, luogo d’incontro, luogo turistico, luogo di divertimento… ma possiamo ancora parlare di luoghi?
Marc Augé, etnologo e antropologo francese, ha coniato l’espressione “non-luogo” che si differenzia dal “luogo antropologico” per la privazione di quest’ultimo di tre fattori:
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la storicità, cioè la narrazione del percorso che un determinato spazio ha intrapreso trasformandosi, nel tempo, secondo i fattori sociali con i quali è venuto in contatto;
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l’identità, vale a dire il carattere, l’idea che dà significato allo stare in un certo spazio;
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la relazione, il meccanismo di azione interpersonale che fa sì che le persone nello spazio non siano singoli elementi ma possano definirsi gruppo.
Italo Calvino nel 1972 pubblicò “Le città invisibili”, libro che apre una discussione sulla città moderna. Ogni capitolo racconta una città, irriconoscibile, inventata, che offre uno spunto di riflessione valido per ogni città esistente. Le città invisibili di Calvino sono per lo più città invivibili. Ne riportiamo alcune che ben rappresentano luoghi senza storicità, identità o relazione:
Leonia (città senza storicità)
La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti di Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio […] più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi di una ricorrente impurità […].
Trude (città senza identità)
Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi lettere, avrei creduto d’essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito. I sobborghi che mi fecero attraversare non erano diversi da quegli altri, con le stesse case gialline e verdoline. Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle stesse piazze. Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie imballaggi insegne che non cambiavano in nulla. Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già l’albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i miei dialoghi con compratori e venditori di ferraglia; altre giornate uguali a quella erano finite guardando attraverso gli stessi bicchieri gli stessi ombelichi che ondeggiavano. Perchè venire a Trude? Mi chiedevo. E già volevo ripartire. -Puoi riprendere il volo quando vuoi, -mi dissero, – ma arriverai a un’altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un’unica Trude che comincia e non finisce, cambia solo il nome all’aeroporto.
Ersilia (città senza relazioni)
A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i fili sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili. Dalla costa d’un monte, accampati con le masserizie, i profughi di ersilia guardano l’intrico di fili tesi e pali che s’innalza nella pianura. E’ quello ancora la città di Ersilia e loro sono niente. Riedificano rsilia altrove. Tessono con i fili una figura simile che vorrebbero più complicata e insieme più regolare dell’altra. Poi l’abbandonanao e trasportano ancora più lontano sé e le case. Così viaggiando nel territorio di Ersilia incontri le rovine delle città abbandonate, senza le mura che non durano, senza le ossa dei morti che il vento fa rotolare: ragnatele di rapporti intricati che cercano forma.
Come ci suggeriscono le città di Calvino, sono ormai molti gli spazi definibili non-luoghi che possiamo trovare sommariamente identici in ogni parte del pianeta; si va dalle autostrade alle stazioni, dai centri commerciali ai parchi giochi, dai locali notturni ai campi profughi ed è proprio la mancanza dei tre elementi sopra descritti che asseconda l’ingresso del meccanismo economico.
Con ciò non si vuol fare intendere che gli spazi economici siano una novità degli ultimi decenni, ma piuttosto che la stessa economia, sia essa ad alti livelli oppure applicata nella realtà, si è modificata in modo radicale. Ormai il sistema di compravendita non vede più come protagonisti in commerciante e l’acquirente, impegnati nella trattativa e quindi in relazione tra loro, ma piuttosto una rete d’azione commerciale che rende parte dell’ingranaggio capitale anche il soggetto ignaro e il linguaggio ne è la prima conferma. I bambini vengono educati ad avere una buona rendita scolastica e successivamente ad accumulare crediti formativi universitari… la forma mentis economica inizia a radicarsi nelle menti molto presto formando così perfetti e non pensanti consumatori.
Non si vede possibilità di scelta, soprattutto perchè non si sa di poter scegliere: le persone nascono nel sistema, crescono nel sistema e presto imparano a desiderare ciò che non possono permettersi. Il “bisogno” è la prima arma del capitale e questo non deve essere soddisfatto se non provocando, in sostituzione, un altro bisogno, così l’aquisto non è più soltanto strumento ma diventa esso stesso obiettivo. Perciò la coppia non-luogo/bisogno diventa vincente e non importa se il cliente vaga negli spazi commerciali, osserva, valuta l’acquisto, non è nemmeno importante che compri subito, l’importante è che non perda la fittizia convinzione di essere e di rimanere fino alla fine dei suoi giorni, un cliente.
Calvino termina così Le città invisibili: “Il Gran Kan dice: – Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente. E Marco Polo: – L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio.”