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FORMAZIONE POPOLARE

Riparte la FORMAZIONE POPOLARE, giunta ormai alla sua terza edizione.

La formazione è aperta a tutta la cittadinanza e si pone come occasione di riflessione  e condivisione di tematiche di comune interesse.

Focus della formazione 2015 sarà L’EDUCAZIONE come BENE COMUNE.

Volantino Formazione Popolare-web

 

ASSOCIAZIONE EDUCAZIONE BENE COMUNE

Il contesto

  C’era una volta la Comunità…potrebbe essere l’incipit di un’ipotetica, triste e amara favola contemporanea. Si narra di una formazione socio-economica che, nella sua incessante ricerca di profitti, sfrutta l’ambiente e le persone, aumenta le disuguaglianze, produce fame e cancella diritti umani e del lavoro faticosamente conquistati. 

Dopo poco, però, ci si accorge del carattere documentaristico del racconto, che altro non è che la calzante descrizione del Capitalismo. Lungi dall’essere solo un modello economico, il sistema capitalistico è un’organizzazione sociale in cui prendono corpo individualismo esasperato, conformismo e omologazione.

Riconoscersi solo tra “identici”, nella più sterile oggettivazione dell’essere umano, ha prodotto una comunità in cui le relazioni si sono trasformate in una competizione continua alla ricerca del successo personale, in cui non ci viviamo più come cittadini e Soggetti, ma come consumatori.

Il capitalismo in essenza individualizza separa e distrugge quel che in maniera ostinata continuiamo a chiamare Società.

Costume educativo contemporaneo

L’attuale mondo dell’educazione (educatori e adulti in generale) ha una grossa responsabilità nell’aver costruito questa realtà culturale.

Addirittura sottoscrive il progetto capitalista di dominio dell’uomo sull’uomo, quando permette che la persona divenga un prodotto e il compimento personale stia nella realizzazione manageriale di sé.

Il progetto pedagogico è altrettanto colpevole quando si delinea come specializzazione e come tecnica “neutra”: si mantiene di fatto lo status quo intriso di narcisismo esasperato e comportamento anti-solidale. Si rompe ogni onesto legame sociale mercificando e privatizzando gli aspetti fondanti della vita stessa.

Se è globale, è anche locale e ci riguarda

Sostenere che il contesto storico-politico nel quale siamo immersi non ci riguardi equivale ad illudersi. Sarebbe come credere che la nostra realtà educativa territoriale continui a produrre valori e buone relazioni senza subire le complessità della globalizzazione capitalista.

A tutti i livelli istituzionali sono stati operati tagli alla spesa pubblica che hanno portato a licenziamenti e allo smantellamento dei diritti dei lavoratori del sociale. Non è possibile pensare che i servizi si siano mantenuti di qualità.

Stiamo vivendo un’involuzione (soprattutto nel locale) manifestata nel menefreghismo e nella delega di gran parte della popolazione su temi che riguardano il futuro della nostra esistenza e convivenza. Dare per scontata la democrazia è un grande errore umano, pedagogico e politico: c’è bisogno di partecipazione.

Criticità dell’attuale sistema

La situazione è palesemente insostenibile: per questo promuoviamo un movimento e un dibattito pubblico e aperto a tutta la cittadinanza interessata. Crediamo necessari un ripensamento generale e una nuova impostazione per i C.A.M (centri attività minori) e i progetti di Politiche Giovanili. Queste attività sono nate con chiari intenti socio-educativi e ci lavorano ottimi operatori e operatrici. Per come sono organizzate e gestite, però, rischiano di non comprendere fino in fondo le dinamiche sociali della realtà per poterle trasformare in senso comunitario autentico.

Ecco alcuni nodi critici:

• Un’attività educativa di qualità non può prescindere dalla corretta definizione, stabilità e continuità della condizione lavorativa. Oggi manca una cultura del lavoro e del lavoratore educativo.

• L’idea originale di volontariato dovrebbe essere: attività spontanea e di reciprocità comunitaria. Negli ultimi anni si è ridotta a sostituzione di manodopera educativa (soprattutto nelle attività estive);

Il confine tra Enti pubblici e privati non è ben definito. Ne consegue la mancanza di controllo pubblico da parte degli enti finanziatori (Comuni e Consorzio) nei confronti degli enti gestori (Associazioni, Cooperative, Parrocchie, etc.). Questo meccanismo contribuisce allo smantellamento del Welfare pubblico;

• L’avere caratterizzato educazione e progetti educativi come servizi apre di fatto ad una logica economica, specializzante e di delega del tema educativo;

Attività e progetti educativi sono sempre più impostati come risposta al bisogno di ragazzi e genitori, dimenticando però il vero tema della formazione delle giovani generazioni. Il metodo dell’attivismo propone una bulimia di proposte, di intrattenimento e svago per occupare il tempo e gli spazi.

• L’utilizzo di contenuti e metodi pedagogici ambigui, quali la prevenzione, le competenze , il disagio, non permette di chiarire il vero obiettivo di un sistema educativo, ossia la promozione di Soggetti dotati di coscienza critica comunitaria;

Gli strumenti: Ricerca, Comunità e Militanza educativa

C’è bisogno di ricostruire una socialità umana rinnovata, questo è il difficilissimo compito che un‘Educazione Sociale Popolare si deve porre. Per raggiungere questo obiettivo serve che gli individui e le comunità umane sviluppino capacità che ancora non hanno.

La sfida è affrontare il capitalismo contemporaneo con il suo carico di catastrofe sociale. Sono necessari un atteggiamento di ricerca e una militanza pedagogica che promuova la partecipazione attiva e critica delle persone per la loro emancipazione dall’oppressione.

Solo attraverso il contributo di tutti si può ricostruire una Comunità (educativa) che metta in comune conoscenze e pratiche intergenerazionali. Questa Comunità si riapproprierebbe di quei beni comuni naturali e sociali che i grandi potentati economici con la complicità dei governi le hanno sottratto.

La nostra ricerca ha come riferimento quel filone che, dal referendum sull’acqua pubblica all’occupazione di teatri da parte di collettivi di lavoratori artistici in molte parti d’Italia, ha promosso in ambito politico, sociale e giuridico il paradigma dei Beni Comuni.

Educazione: Bene Comune?

Quali persone vogliamo diventare? Che relazioni sociali cerchiamo? Quali spazi e tempi vogliamo costruire e condividere? Che stile di vita vogliamo perseguire? Questi sono i temi che a livello educativo dovrebbero essere indagati e promossi insieme alle giovani leve.

Quindi ci stiamo chiedendo se sia possibile fondare un’Educazione militante in stretto contatto con una progettualità politica di difesa e ampliamento dei Beni Comuni, e se questa possa essere la strada per una rinnovata partecipazione democratica di riscoperta attiva della vita della Comunità.

Il nostro percorso rivendica il diritto di azione educativa da parte della Comunità. Rivendichiamo il potere decisionale e di gestione di dinamiche, progetti e attività educative e dello stile con cui devono essere promosse.

Si tratta di fondare l’Educazione (e le attività educative connesse) come attività umana Pubblica e come Bene Comune: questa concezione ci porta a ragionare sul vero senso del lavoro e del progetto educativo generale favorendo uno stretto legame tra lavoratori e cittadini.

Serve democratizzare radicalmente contenuti, luoghi e tempi delle decisioni che possono avere effetti sulla vita delle persone di un territorio.

Tutto ciò permette di ricostruire un corpo sociale (non solo professionale) che con azioni dirette stimola relazioni significative promotrici di cambiamento nelle vite personali, nei comportamenti sociali e nelle scelte politiche. L’Educazione come Bene Comune richiama urgentemente ad una riflessione pedagogica che stimoli la promozione del pensiero critico. Allestendo contesti di conoscenza e scambio allontana la deriva valutativa, di misurazione e controllo sociale delle pratiche educative contemporanee.

Mettendo in discussione il progetto neoliberista di costruzione di identità funzionali solo al Mercato, si promuove una riscoperta dell’Altro come Soggetto portatore di diritti e di relazioni interdipendenti.

Obiettivo è quello di creare un movimento comunitario di rifondazione educativa che ci esorta ad approfondire la questione della collocazione politica tra autogestione e Istituzioni.

Ruolo di educatori e degli adulti

Fondare l’Educazione come Bene Comune permette di riconoscere l’operatore educativo come lavoratore, e non come “missionario”. La professionalità che ne deriva non è certo quella dell’esperto e del tecnico del sociale, anzi:

è caratterizzata da un rinnovato rapporto egualitario con la cittadinanza (adulti e giovani), non più vista come utenza o come clientela, ma come co-costruttrice di una comunità inclusiva, autogestita ed educante;

è chiamata a relazionarsi con tutte le persone che interagiscono sulla scena sociale della città intervenendo così sul contesto culturale e politico (non solo con bambini, adolescenti, genitori e altre figure professionali del sociale);

è militante, cioè aderisce in modo coerente agli ideali/stili/visioni condivise (adesione formale) e declina nel personale vivere quotidiano i medesimi valori (adesione praticata/informale);

sostiene con forza che la vita umana, i territori in cui si vive e le relazioni che si creano sono più importanti e in opposizione alle leggi del Mercato;

si contrappone allo smantellamento del Welfare pubblico rivendicando contratti regolari, a tempo indeterminato e con un reddito adeguato, fuori della logica della competizione tra lavoratori;

richiede preparazione e costante formazione.

Gli adulti sono chiamati ad ingaggiarsi e a promuovere partecipazione attiva nel territorio, aumentando la loro dote di responsabilità. Non possono relegarsi ad un ruolo di “spettatori” della scena sociale.

La proposta: creiamo un’Associazione

Per resistere al senso di impotenza e solitudine è necessario ripartire dallo spirito di ricerca e militanza educativa precedentemente delineato, ribadendo così la nostra contrarietà ai sistemi che stanno spingendo il mondo alla rovina.

Proponiamo un percorso di Formazione Popolare che dovrebbe portare alla costituzione di Associazione Educazione Bene Comune: come unione tra lavoratori dell’educazione e cittadinanza interessata comprenderebbe operatori, genitori, bambini, ragazzi, cittadini sensibili.

Questa associazione avrebbe il compito di promuovere la pratica dei Beni Comuni in ambito educativo, sperimentandosi nell’organizzazione e nella gestione partecipata delle attività di Educazione Sociale Popolare (come gli attuali C.A.M) e dei progetti di Politiche Giovanili.

Questa aggregazione variegata di sensibilità/competenze potrebbe creare quella cultura del lavoro educativo necessaria per contrastare la tendenza al precariato e alla specializzazione, promuovendo invece condivisione di saperi, esperienze e pratiche.

Promuovendo questo fare comune tra lavoratori e cittadini:

si rifiutano logiche di competizione e di sfruttamento;

si promuove autorganizzazione, cooperazione e partecipazione attiva;

ci si impegna per il riconoscimento di contratti che garantiscano un reddito adeguato agli operatori educativi (derivanti da fonti pubbliche e solo in seconda battuta da risorse reperite autonomamente per non cadere in una logica sussidiaria nei confronti delle Istituzioni);

si riconosce il ruolo della formazione su temi strettamente legati alla vita in comune,(sia per gli operatori che per la cittadinanza tutta), impegnandosi quindi nel promuoverla e garantirla.

I 10 COMANDAMENTI DELL’OPERATORE

I. Non avrai altro paradigma all’infuori di me (la cura)Credo dobbiamo riprendere il discorso di chi siamo. Siamo persone che professionalmente praticano la cura come attenzione, produciamo una conoscenza preziosa a tutti: quella di chi accompagna gli stati della vita. Non siamo tecnici e non siamo né i primi né gli ultimi della lista.

II. Non usare parole improprie quando pensi e agisciCredo che dobbiamo ridare grande attenzione alle parole che usiamo per evitare di essere fraintesi, per dare statuto scientifico al nostro discorso, che mai può ridurre l’altro e la sua biografia alle categorie che usa e, proprio per questo, è estremamente attento a quelle. Il significato e il senso della nostra professione sta anche in questo: svelare il senso ed essere significanti.

III. Ricordati di studiare e aggiornati senza essere settoriale. Credo che dobbiamo pensare a riformulare la formazione. Affiancare alla formazione di contenuto una formazione di processo che vuol dire pattern, confronto e apertura, riapprendere a fare processi e non solo atti. Sogno corsi ove l’apprendimento di trucchi e tecniche sia secondario e prevalga l’etica, la filosofia, il senso e il significato…

IV. Onora ciò che la letteratura ci insegna. Credo che dobbiamo tornare ai nostri maestri, con umiltà. Mi pare che troppo tempo abbiamo ascoltato le sirene di falsi profeti che ci hanno illuso che il respiro corto dell’auto-referenzialità, della tecnica come soluzione alla nostra identità, della specializzazione come modo per aver rispetto, ecc…potessero risolvere i problemi.

V. Non far sperimentare fallimenti ai tuoi utenti. Primum. Non nocere. Il corpo di chi consulta è piegato dal danno. Per prima cosa non fare altro danno. E se ci diranno che abbiamo pochi risultati, che qualitativamente non siamo all’altezza perchè facciamo pochi inserimenti, pratiche, ecc…appelliamoci all’etica delle virtù e non a lamentazioni per i pochi, invero, strumenti.

VI. Non venderti per un piatto di lenticchie o per buona convivenzaSe non ci convertiamo, altri, al nostro posto e al posto degli utenti e dei loro contesti, decideranno come sarà il Welfare. E ci troveremo, pubblico o privato che sia, a ripetere la litania dei potenti. Ne saremo asserviti. Non vale la pena mediare. Come negli anni sessanta e settanta, pur sapendo che i tempi sono differenti e le modalità di lotta di conseguenza, dobbiamo buttare a mare i piatti di lenticchie che ci mettono di fronte e pretendere cibo buono.

VII. Non chiuderti nelle pratiche. V’era un tempo in cui facevamo cultura, in cui le questioni dei nostri utenti (la follia, la devianza,…) informavano persino i “porta a porta” di allora, in cui ciò che scrivevamo non finiva negli scantinati di assessorati. Dobbiamo tornare a quel tempo. Trattiamo la vita e quella sua forma così importante e diffusa che è il sociale: ne abbiamo di cose da dire.

VIII. Non dire menzogne. Dobbiamo avere il coraggio della verità. Ad esempio, dobbiamo avere il coraggio di dire che tanta (non ovviamente tutta) formazione professionale per soggetti svantaggiati ha foraggiato chi la faceva ma non ha incluso chi la subiva, oppure che la pratica puramente assistenziale tutta centrata sul caso è dannosa, e ancora che le emergenze non esistono, la cronicità è una condizione e non una iattura, che la guarigione è una eventualità della cura ma non l’obiettivo,ecc…

IX. Non desiderare di essere come altri servizi che ti appaiono più rispettati e prestigiosi. (…) Proviamo a costruire una nuova organizzazione su un modello adeguato al compito che svolgiamo, ad esempio il team di ricerca. Non ce lo lasciano fare? Lottiamo.

XPiantala lì di lamentarti e lottaDobbiamo aprire una nuova stagione di lotta. Siamo una minoranza certo, ma una minoranza passiva. Dobbiamo diventare una minoranza attiva. I vecchi di noi come il sottoscritto ( quelli che non hanno venduto il bip) hanno imparato molto su cosa significa lottare in questo settore. Nel bene e nel male.

E’ tempo di trovarci e incominciare a lottare. Su due strade: Una, che è nostra propria, quella definita della sperimentazione di forme e modi innovativi di fare intervento sociale. L’altra, che possiamo apprendere è quella di chi sa che lottare è fare profezia.

Nel caso di trasgressione a questi comandamenti è severamente vietato sentirsi in colpa. Già dietro molte storie v’è come motivazione la colpa, la colpa sociale soprattutto. Sappiamo bene che la colpa è il modo migliore per produrre ulteriori danni.

tratto dall’inserto di Merlo Roberto “Ma quanto costa il sociale!” in Animazione Sociale (n°193/2005).Merlo Roberto è psicoterapeuta e formatore. Lavora in Italia e all’estero nel campo della cura e della prevenzione degli stati di sofferenza personale e sociale.

L’OTTIMISTA HA SEMPRE UN PIANO, IL PESSIMISTA HA SEMPRE UNA SCUSA …

         Una volta, Albert Einstein disse: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.”

Nel mio, anzi, nel nostro caso, la “crisi” è arrivata a fine luglio. Rispettivamente per 3 e 4 anni, infatti, Giorgia ed io abbiamo lavorato all’interno di uno dei tanti CAM presenti sul territorio albese, il “Dream King”. Abbiamo collaborato, anno dopo anno, alla realizzazione di un progetto educativo rivolto a ragazzi dagli 11 ai 15 anni di età con l’Associazione Sandro Toppino, che la Parrocchia di Cristo Re ha individuato come responsabile di questa attività, realizzata nei suoi spazi. La proposta è stata finanziata dal Consorzio Socio Assistenziale Alba Langhe e Roero, dalla parrocchia e dalle quote di iscrizione dei partecipanti. A fine luglio, con una breve telefonata, ci è stata comunicata una decisione presa dagli enti coinvolti: affidarne la gestione a una cooperativa, che si sarebbe occupata anche del bar e degli spazi sportivi parrocchiali.

Così, senza tante spiegazioni, ci siamo ritrovate senza lavoro e abbiamo iniziato a porci delle domande sul funzionamento e la gestione delle diverse realtà educative come quella di cui noi facevamo parte come lavoratrici; la nostra storia dimostra come queste siano fondate sulla precarietà dei lavoratori, su una scarsa attenzione alla qualità educativa, su decisioni dettate solo dalla necessità di risparmiare.

Qualcosa andava fatto per cambiare questa situazione!

La nostra crisi doveva diventare sfida, chiedeva risposte a chi si rifugia nel “si è sempre fatto così” – e sono tanti! – e rifiuta anche solo di pensare ad una alternativa.

Siamo entrate in contatto con Officine di Resistenza e abbiamo fatto in modo che la nostra vicenda fosse occasione di dibattito e di revisione delle politiche educative albesi. Con loro siamo scese in piazza, come educatrici e cittadine, per chiedere che un vero cambiamento avvenga, a partire dal nostro reintegro sul posto di lavoro, per arrivare al ripensamento della gestione dei CAM e delle attività di Estate Ragazzi.

Nel frattempo la risposta della cooperativa che sarebbe dovuta subentrare è stata la decisione di interrompere la collaborazione con parrocchia e associazione Sandro Toppino. Ad essa si è sostituita in corsa un’altra cooperativa, che, ha iniziato, tra mille difficoltà, le attività. Questo è dimostrazione del fatto che per i vari responsabili la cosa importante era mettere fine a questa situazione scomoda in un modo o nell’altro con l’affidamento a un’altra cooperativa se necessario.

La risposta della politica è stata ancora un richiamo alla crisi, a quella crisi economica alla quale si è tentato di porre un freno solo con tagli, a livello nazionale e locale, dei servizi alla persona, compreso il doposcuola. Questa risposta non è cambiamento: è vergogna! Ogni assessore o amministratore pubblico ha il preciso dovere di esprimersi in materia, perché la responsabilità dei tagli è loro come di chi, dall’alto, li ha decisi.

Richiamati alla loro responsabilità diretta sulle scelte in materia educativa gli enti comunali hanno garantito, a partire da gennaio, un tavolo di lavoro, che avrà l’obiettivo di riunire i diversi attori coinvolti nelle realtà dei CAM e di Estate Ragazzi, per mettere in discussione i modelli finora proposti e ripensare insieme le politiche educative.

Serena e Giorgia

LA COMUNITA’ DEVE CONTINUARE AD EDUCARE

    Si può discorrere di educazione? Si, perchè esiste una comunità che continua ad educare ed è tenuta a farlo. Ciò non significa sopperire ad un’educazione mancata, offerta da un sistema sociale rivolto al profitto o da una forma di pensiero depoliticizzata. Siamo stati un popolo educante e in quanto tale abbiamo il dovere di continuare su questa linea, caratterizzata da una visione del mondo e non soltanto del singolo. L’educazione deve perciò venire dal basso, dai singoli che, unendo il pensiero, danno origine a una linea, a una traccia da seguire. La prospettiva di creare un’associazione di lavoratori e cittadini in grado di guidare le politiche sociali potrebbe essere un grande passo verso una pratica educativa di questo tipo. Perciò durante il prossimo Caffè Pedagogico potremo approfondire il tema insieme ad un avvocato che ci darà chiarimenti per quanto riguarda la parte burocratica.

    Lo scorso incontro è stato molto importante e ci ha permesso di fare un passo avanti nel percorso che abbiamo intrapreso; il prossimo sarà quello di avviare uno spazio di comunità attraverso la Formazione Popolare. Siamo perciò tutti invitati a portare temi che vorremmo approfondire e persone che vorremmo avere come “docenti di piazza” con l’obiettivo di stimolare una partecipazione attiva alla vita sociale e politica della città.

Vi ricordiamo i nodi tematici sui quali si fonda il nostro percorso:

  • L’Educazione e il Welfare tra Istituzioni e auto-organizzazione popolare

  • il ruolo degli adulti e dei lavoratori dell’educazione

  • senso e qualità dell’Educazione

  • l’Educazione e il movimento per la riappropriazione dei Beni Comuni

  • la Fondazione Educazione Bene Comune come sviluppo teorico-pratico

COMUNE E CONSORZIO DOVE SIETE?

Qui di seguito potete leggere il volantino che sarà distribuito in centro ad Alba nella giornata di sabato 18 ottobre. L’appuntamento per tutti coloro che vogliono partecipare al presidio è alle ore 15.30 in piazza Rossetti (dietro il Duomo).

COMUNE E CONSORZIO DOVE SIETE???

I lavoratori dei doposcuola e di Estate Ragazzi vivono una condizione di grande precarietà: pur garantendo la necessaria continuità educativa, ogni anno sono esposti al rischio del mancato rinnovo del contratto. A 2 di loro, Serena e Giorgia, è capitato di sapere questa estate che a settembre non avrebbero ripreso a lavorare. Il Comune e il Consorzio, finanziatori delle attività insieme ai gestori privati (parrocchie, associazioni…), tollerano la situazione senza muovere un dito.

Continuiamo a chiedere:

1) il reintegro di Serena e Giorgia;

2) che Comune e Consorzio

  • investano maggiori risorse per assicurare la continuità e la qualità del lavoro;

  • vincolino l’erogazione dei fondi pubblici per i gestori privati all’assunzione con contratti a tempo indeterminato;

La storia di Serena e Giorgia è la dimostrazione che la precarizzazione del lavoro rende più deboli e vulnerabili i lavoratori. Le recenti decisioni del governo non fanno che aggravare la situazione. Vogliamo che Alba segni una controtendenza: perché non iniziare garantendo i diritti di chi lavora con i nostri bambini?

Officine di Resistenza

CHE COS’E’ UN UOMO IN RIVOLTA? UN UOMO CHE DICE NO!

Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no” (incipit L’uomo in rivolta A.Camus)

NOI dovremo essere i genitori” David Foster Wallace

Un atto di Resistenza. Un atto di ribellione. Un altro piccolo passo nella quotidiana lotta contro questa crisi del sistema capitalista e di chi gestisce e giustifica ideologicamente (centrodestra-centrosinistra) le conseguenti politiche di austerità che, dal livello europeo con il Fiscal Compact e relativo Pareggio di Bilancio inserito nella Costituzione fino al Patto di Stabilità interno, prevedono piani di dismissioni pubbliche e di privatizzazione di settori vitali della società, dai beni comuni ai servizi pubblici locali, educazione e sanità.

Seppur indegni e piccoli rispetto a questo riferimento pensiamo come Camus “Mi rivolto, quindi siamo…” e gridiamo che la “Comunità non è una merce!” e dalla nostra visuale ridotta, ma priviliegiata di operatori educativi pensiamo che sia necessario passare da una concezione dell’Educazione come “mercato” e semplice “erogazione di servizi”, alla costruzione di un’attività sociale come Bene Comune, partecipata e aperta al contributo di tutti.

E’ ormai sotto gli occhi di tutti che “l’ondata privatizzante” iniziata negli anni ‘90 ha ulteriormente contribuito allo sfruttamento del mondo del lavoro, “strutturato” la precarietà di vita di milioni di persone e aumentato le disuguaglianze sociali. La conseguenza diretta è il sentimento comune di isolamento, di perenne competizione tra “entità umane private” che ormai non condividono più un orizzonte pubblico comune. Basta essere passivi, subalterni e quindi complici con questo modello.

non vedo non sento

Ora Basta!Pensiamo sia venuto il momento decisivo di rivoltarsi e di dire di no a tutto questo e di riconoscersi come un ‘siamo’, che da legami sociali riscoperti, ricrea Comunità.

Un atto Fondativo. Un atto di creatività. Noi dovremo essere i genitori” è una frase di una un’intervista del compianto David Foster Wallace e da cui Wu Ming 1 prende spunto per il titolo (e non solo) per un discorso tenuto nel 2008 all’Università di Londra. (discorso di Wu Ming I)

E’ un testo di grande portata, che solo apparentemente tratta di letteratura, ma in realtà parla di tante altre cose (se state sprecando qualche minuto per leggere il nostro invito, vi consiglio vivamente di “rifocillarvi” con la lettura del discorso londinese), ma noi lo riteniamo decisivo perchè è un testo profondamente pedagogico, e non solo per la citazione della “storiella” di DFW che racconta di genitori e figli e di quel momento in cui hai la sensazione di “diventare grande”, di essere adulto, ma soprattutto perchè ci sbatte in faccia che “abbiamo bisogno di riappropriarci di un senso del futuro”. Questa frase pensiamo sintetizzi impareggiabilmente il Senso di un’Educazione popolare e “dal basso” di cui vogliamo diventare i “capostipiti”. Un’Educazione che è riscoperta e riappropriazione di una attività sociale essenziale, che proprio nel definire un’idea di futuro e di mondo insieme ai “piccoli” ci permette di continuare ad essere umani. Un’Educazione che dev’essere l’”opera” di partecipazione diretta dei lavoratori, dei cittadini (adulti e giovani) situandosi fuori dalle logiche del “mercato”, e che in questo movimento si definisce come un Noi, non tanto e immediatamente identitario, quanto comunitario.

noi

Ora, l’atto di Resistenza e quello Fondativo, non sono da intendersi in contrapposizione tra di loro, ma sono intersecati intimamente, sono parte della stessa filosofia, inscindibili e complementari per iniziare a costruire un modello educativo alternativo. Sono l’ossatura portante della Formazione Popolare per la costituzione della Fondazione Educazione Bene Comune.

Il prossimo Caffè Pedagogico sarà l’inizio di questo percorso che vorremmo condividere con tutti quelli che pensano che la lotta per la riappropriazione dei beni comuni, per i diritti dei lavoratori, per un Senso e una qualità dell’Educazione alternativa e popolare sia una questione di democrazia reale che non deleghi a soggetti o coalizioni la rappresentanza delle nostre idee e delle nostre aspirazioni.

Ecco una serie di nodi tematici che ci piacerebbe discutere:

  • l’Educazione e il Welfare tra Istituzioni e autorganizzazione popolare

  • il ruolo degli adulti e dei lavoratori educativi

  • senso e qualità dell’Educazione

  • l’Educazione e il movimento per la riappropriazione dei Beni Comuni

  • la Fondazione Educazione Bene Comune come sviluppo teorico-pratico.

PEDAGOGIA FREIRIANA, MOVIMENTI SOCIALI E POLITICA

E’ questo il titolo di uno dei temi affrontati nella mattinata di giovedì 18 settembre. Potete ascoltare le registrazioni degli interventi che raccontano diverse esperienze brasiliane e italiane. Qui di seguito la presentazione degli ospiti e della loro esperienza.

 

 FRANCO FLORIS (Coordinatore del gruppo), Animazione Sociale

“I movimenti dal basso sono i nuovi luoghi dell’educazione; l’educazione è scappata dai luoghi istituzionali”.

“I movimenti popolari non chiedono solidarietà, ma giustizia”.

“L’art. 3 della costituzione afferma che: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

(registrazione dell’intervento) (intervista) (visita il sito)

 

CEZAR LUIZ DE MARI (Coordinatore del gruppo), U.F.V Brasil

Presentazione di tre progetti brasiliani:

  • OFFICINE DEL SAPERE: progetto di scambio tra i bambini di una scuola brasiliana e quelli di una scuola italiana di Roma.
  • COSTRUZIONE COLLETTIVA DEL PROGRAMMA SCOLASTICO (Scuola e comunità)
  • STUDENTI UNIVERSITARI PREPARANO GIOVANI AL TEST D’INGRESSO   (registrazione dell’intervento) (visita il sito)

 

ANA INES, CEFURIA (Centro de Formacao Urbano Rural Irma Araujo)

Si tratta di un’organizzazione, senza scopo di lucro, il cui scopo è quello di rafforzare l’organizzazione di base e le lotte dei popoli per migliori condizioni di vita. Il suo nome è un omaggio a suor Araújo, la cui vita è stata dedicata all’organizzazione dei poveri del sud Curitiba per risolvere i loro problemi specifici, in particolare quelle relative alla salute.

(visita il sito)

 

BRANDAO CARLOS RODRIGUEZ, amico e collaboratore di Paulo Freire,Brasil

Distinzione tra movimenti sociali e movimento popolari. Sono i movimenti popolari che devono costruire il loro progetto di LIBERAZIONE. Non può avvenire per intervento dei movimenti sociali; sono i movimenti popolari che possono chiedere aiuto a quelli sociali per costruire assieme un percorso di liberazione.

(registrazione dell’intervento) 

 

BERGAMIN RENATO, La Casa del Quartiere, Torino.

La Casa del Quartiere (Torino, San Salvario) è un laboratorio per la progettazione e la realizzazione di attività sociali e culturali che coinvolge associazioni, cittadini, operatori artistici e culturali; è uno spazio aperto e multiculturale, luogo di incrocio, di incontro e di scambio di attività e persone.

(registrazione dell’intervento) (visita il sito)

 

FRANCESCO GARZONE, Torino

L’operatore sociale vive una fase di “passioni tristi”, impotenza. Questa condizione, difficile ha però una forte potenzialità, quella di rendere l’operatore consapevole di se stesso; in periodi come questi l’unica risorsa dell’operatore è il proprio desiderio di cambiamento sociale.L’operatore è il primo attore del cambiamento sociale.

(registrazione dell’intervento)

 

 

 

APERTURA DEL IX CONVEGNO INTERNAZIONALE PAULO FREIRE

Il IX Forum internazionale Paulo Freire è stato aperto dai saluti di Lucia Bianco, Gruppo Abele, Moacir Gadotti, Istituto Paulo Freire Brasil e Silvia Manfredi, Istituto Pauolo Freire Italia, organizzatori del Forum. Potete trovare la registrazione dei saluti di Silvia Manfredi collegandovi a radio Chourmo (vai alla registrazione).

Qui di seguito una canzone di Freire che Silvia Manfredi ha letto ai presenti con grande emozione e che sicuramente racchiude il senso del Forum.

Ho scelto l’ombra di quest’albero per
Riposarmi dal molto che farò,
Mentre ti attenderò.
Chi attende nella pura attesa
Vive un tempo di attesa vana.
Per questo, mentre ti attendo
Lavorerò i campi e
Converserò con gli uomini
Bagnerò di sudore il mio corpo, che il sole brucerà;
le mie mani diventeranno callose;
i miei piedi impareranno il mistero dei percorsi;
le mie orecchie udranno di più,
i miei occhi vedranno ciò che prima non videro,
mentre ti attenderò.
Non ti attenderò nella pura attesa
Perché il mio tempo di attesa è un
Tempo di che-fare.
Non confiderò in coloro che verranno a dirmi,
con la voce bassa e previdenti:
è pericoloso agire
è pericoloso parlare
è pericoloso andare
è pericoloso, attendere, nel modo in cui attendi,
perché questi rifiutano l’allegria della tua venuta.
Non confiderò neanche in coloro che verranno a dirmi,
con parole facili, che già sei arrivata,
perché questi, nell’annunciarti ingenuamente,
ancor prima ti denunciano.
Starò preparando la tua venuta
Come il giardiniere prepara il giardino
Per la rosa che si aprirà a primavera.

Paulo Freire, “Canzone ovvia”