SIAMO QUI! NON PERENNEMENTE MARGINALI

By | 2 maggio 2014

Pur non abitando in una grande città e neppure in una megalopoli, la sensazione che si sente come cittadini, è di essere diventati periferici, marginali. Questa sensazione deriva da una scoperta: la città non si sviluppa più a partire da un “centro storico” (ambientale, architettonico, decisionale, politico) che si allarga creando le cosiddette periferie.

Oggi ogni parte della città è periferia.

E’ paradossale! Che tu viva in centro città o in periferia, la sensazione che hai è di essere comunque “marginale”. Anche quando la città è piccola o modesta di dimensioni, vivi con la percezione di essere costantemente ai margini.

Consciamente o inconsciamente, viviamo una “condizione” di perificità rispetto alle cose che muovono la storia, la politica, il costume; e ci sentiamo alla periferia di un punto nel quale si muovono (forse) tutte le cose. Questo (nuovo) fenomeno è certamente legato alle forme della modernizzazione e della comunicazione. C’è un gran vantaggio nell’essere legati a molti centri, all’essere “cittadini del mondo” (siamo certamente più ricchi, meno chiusi) ma allo stesso tempo perennemente periferici, sempre in attesa che la notizia decisiva del telegiornale ci faccia capire dove siamo. Perché ci indica il punto in cui si stanno muovendo le leve, le macchine…e noi, ne terremo conto e ce ne faremo una ragione! Ma non ci viene più in mente di essere noi a muovere le leve della nostra città. E se qualcuno di noi ha ancora memoria (grazie al racconto e alle testimonianze dei nostri antenati) del tempo in cui questo accadeva, le nuove generazioni non sanno neppure che cosa vuol dire “muovere le leve della città” e quindi sentirsi non marginali ai punti nei quali si decide la qualità della convivenza e la qualità della politica.

Se nelle epoche passate potevano anche sentire di “contare poco”, in quanto a potere di muovere le cose e di decidere, non sentivano però di essere marginali. Oggi, paradossalmente “contiamo molto” ma il senso di marginalità nostro è cresciuto.

PERIFERIA

Chi muove le leve, lo fa pensando alle donne e agli uomini come a “clienti”. Da ciò ne deriva che, anche gli spazi, abitati da questi cittadini “clienti” sono trattati come “problemi immobiliari” (con tanto di contratto!). E come ben sappiamo, in tutte le riunioni di condominio che si rispettano, si finisce sempre col parlare dei dettagli piuttosto che dell’”insieme” delle cose, delle relazioni, del senso.

Se restiamo a fare la parte dei marginali, rinunceremo ancora una volta a riassumerci la nostra identità più propria, di cittadini – donne e uomini caratterizzati dal fatto di essere liberi e abitanti.

Se la “legge” della politica è diventato il mercato, se il cittadino ora si chiama “cliente”, non è in realtà (forse) la “paura” la forza sotterranea che guida tutte le leve? “Il mercato ha paura di perdere, così si re-inventa sempre”. “Per paura di perdere clienti, si fanno continui cambi di offerta e altrettanti cambi di “approcci”, fino a perdere del tutto la complessità (da un lato) e l’immediatezza (dall’altro lato) di cui vivono i rapporti tra umani”.

Possiamo liberare la paura e re-impostare un normale rapporto dialettico, di fronteggiamento tra le forze politiche?

Possiamo attingere all’intelligenza degli spazi (dalla loro storia, dalle loro idee fondatrici) la spinta per liberarci dal senso di marginalità?

Che cosa ci è chiesto (oggi) dagli spazi?

Quali opere di liberazione degli spazi possiamo mettere in atto?