Quanto costa, quanto pesa, quanto è mortifero il Capitalismo per i giovani?

By | 10 febbraio 2014

Un mese fa, con il gruppo politico Officine di Resistenza, distribuimmo in città un volantino che aveva come provocazione iniziale il ribaltamento del discorso mainstream sul lavoro e sul Capitale. (Link)

Oggi voglio riutilizzare quella formula ponendo questa domanda: quanto costa, quanto pesa, quanto è mortifero il Capitalismo per i giovani?

Ne “L’Italia Sotto Sopra”, la ricerca seria e documentata che oramai da quattro anni Save the Children diffonde a livello nazionale, emerge una realtà dell’infanzia e dell’adolescenza drammatica. (Link)

Le giovani generazioni sono fortemente colpite dalla crisi capitalista: si pensi ad esempio ai mancati investimenti nel campo dell’istruzione pubblica, nei progetti educativi e di socializzazione; a questo si aggiungano i fatti che riguardano la realtà sociale nel suo insieme, come l’aumento degli sfratti alle famiglie, il taglio alle spese della sanità, vestiti e svago.

In questo quadro non possiamo dimenticarci dell’allarmante dato che vede la disoccupazione giovanile salire oltre il 40%, e della oramai perenne situazione di precarietà per chi invece ha un lavoro, ma che per condizioni salariali misere e con contratti al limite della dignità umana non può immaginarsi un futuro. Anzi, questo futuro assume le forme della miseria economica e sociale, e quindi portatore di ansie e malessere.

Ma non dobbiamo stupirci di questo elevato livello di sfruttamento ai danni di questa parte di popolazione, in quanto se ci pensiamo bene, la nozione stessa di giovani per come si è sviluppata nel secolo scorso è una pura invenzione del Mercato stesso. Il capitale, mettendo a profitto ogni aspetto e momento della nostra vita, ha visto nei consumi del e per l’infanzia e l’adolescenza un indispensabile “settore” per la propria crescita.

E gli adulti?

Ammettiamolo con onestà – abbiamo delegato al Mercato l’educazione delle giovani generazioni – in quanto tutti insieme abbiamo introiettato il mantra del consumo a tutti i costi; di cose, di oggetti, pensando erroneamente di essere felici solo continuando a fagocitare merci. Oltre all’acquisto compulsivo di beni, anche la privatizzazione dei dirittti educativi ha fatto la parte da gigante. Pensiamo alle migliaia di scuole private che, finanziate con soldi pubblici, si specializzano per “dare” l’offerta formativa migliore. Pensiamo a tutto il mercato fintamente educativo del cosidetto “tempo libero”, dove lo sport, l’aggregazione di quartiere, le varie arti invece di essere momenti di crescita pedagogico-sociale e quindi anche tempo dell’impegno, sono divenute semplici servizi in competizione tra di loro.

E non bisogna andare lontano per vedere le imprese sociali e le cooperative che fanno profitto su questo aspetto, o per accorgersi che si stanno smantellando spazi e dispositivi aggregativi pubblici a favore di interessi del Mercato (il centro sportivo Boblingen ad Alba può fungere da esempio?!).

Questo stato di cose, unito all’emergere del concetto di “Successo economico e massmediatico” come valore, ha fatto sì che i giovani si siano ritrovati in uno stato di abulia e di illusione.

Ma è tutta colpa del mondo adulto?

Sicuramente è vero che i giovani in gran parte si sono adagiati in questa illusione, in questo “finto” Paese dei Balocchi, e adesso, che si stanno accorgendo che il mondo non è dorato, la loro risposta sembra essere più quella di sgomitare per ottenere quella ricchezza che riguarda e riguarderà pochi, ma che avrà come effetto lo sfruttamento della maggioranza. Per fortuna non tutti la pensano e la vivono così!

In questo clima di confusione e di ridefinizione sociale, l’opera di imprenditori, banchieri, ma anche della stragrande maggioranza degli operatori educativi, (sostenuti dalle politiche padronali di centro destra e centro sinistra e dai vari costruttori di opinione televisivi) è quella di indicare le soluzioni ai problemi che riguardano il futuro delle giovani generazioni.

Quali sono queste soluzioni?

Ma ovviamente Internet e la Creatività.

Ogni settimana sui maggiori quotidiani e riviste nazionali leggiamo di giovani rampanti che grazie alla loro forza di volontà, al loro ingegno personale, uniti alle doti salvifiche della Rete, hanno “sfondato”; sono riusciti ad ottenere il tanto agognato Successo (non linko nulla, magari potete segnalarci voi qualche articolo a riguardo).

Di solito queste “narrazioni” sono accompagnate da interviste a direttori d’impresa, amministratori delegati e manager che esaltano il coraggio di chi si è “messo in gioco”, promuovendo la propria idea, il proprio sogno on-line. In poco tempo, questi “loschi personaggi”, da semplici ma ricchissimi operatori commerciali e finanziari, sono divenuti i veri guru del pensiero moderno, i nuovi “intellettuali” di riferimento (scusate Gramsci, Pasolini, Bianciardi, Dolci, Ferraris, Panzieri, tanto per citarne qualcuno dei “miei” e ahimè defunti)..

Dietro questo invito ossessivo all’investire su sé stessi, al diventare imprenditori di sé stessi, vi è una cultura della competizione tra singoli che ha il compito di mistificare le vere cause e nodi della questione. Non sono un economista, ma da educatore penso che questa impostazione sia assurda, in quanto fa credere alle persone (e ai giovani) che si potrebbe essere e fare tutto, di poter essere il e al centro del mondo.

Questa idea della creatività non mette in discussione il Sistema, ma lo alimenta attraverso un individualismo esasperato e mantiene inalterate le strutture sociali di dominio (non scordiamoci infatti da quale classe sociale proviene).

Che dire poi di Internet e della Rete che divengono nel ragionamento dominante un fine, e non uno strumento?

Ma per fortuna i giovani non sono un corpo unico e una “categoria” omogenea. Dietro ai vissuti personali e generazionali ci sono le divisioni di classe, genere ed etnia, che caratterizzano le situazioni lavorative ed esistenziali e quindi una posizione differente nella società.

Ed è da qui che vorrei ripartire. Parafrasando una frase del regista Monicelli: <<…ci vorrebbe una bella botta, ci vorrebbe una rivoluzione>> parte la mia riflessione e piccola proposta finale.

Penso che ribellarsi sia un dovere per noi e per questi giovani. Ma la lotta di cui sto provando a parlare non deve assumere i contorni di una semplice e innocua rivendicazione di cambio generazionale nelle strutture di potere costituite.

Nei vari contesti educativi, dovremmo iniziare a ragionare insieme ai ragazzi e alle ragazze della loro particolare condizione di sfruttamento, affine a quella di lavoratori adulti precari, disoccupati, pensionati, migranti, in quanto tutti stanno pagando a caro prezzo questo Sistema Capitalistico e da qui costituire un fronte intergenerazionale che possa aggregare e non dividere.

Bisognerebbe rialfabettizzarci (tutti, adolescenti e adulti) a quel vocabolario e a quelle pratiche che hanno permesso di conquistare diritti importanti seppur parziali, e che oggi ci vengono sempre più velocemente negati. Si potrebbe partire dal rifiuto di accettare le attuali norme che regolano il mercato de Lavoro, come il nuovo Apprendistato.

Si potrebbe ripartire da una riflessione politica e filosofica sul Senso del Lavoro stesso e quindi rivalutare una storica proposta del movimento operaio: la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, con un concomitante aumento delle risorse per l’erogazione dei servizi pubblici essenziali, come la casa, la sanità e l’Educazione.

Perchè non fare questo in un Presidio Educativo dove operatori pedagogici, ragazzi e ragazze, genitori e adulti fianco a fianco, in un’ottica di accompagnamento e conoscenza reciproco, possano incontrarsi?

Alberto

 

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